#JUSTREAD – Focus su “I’m every woman” di Liv Strömquist ✍️ 💗 ( o ) ( o ) 👄 ((°)) 🙅🏻‍♀️

I’m every woman,
It’s all in me
I can read your thoughts right now,
Every one from A to Z

Leggete la graphic novel di Liv Strömquist e poi ascoltate I’m every woman di Chaka Khan: vi sarà chiaro perché l’artista (e attivista) svedese ha scelto il titolo del famoso singolo d’esordio della regina del Funk (e attivista anche lei) per la sua denuncia a strisce sulla condizione femminile

La popolarità del pezzo è stata amplificata dalla cover di Whitney Houston, registrata per la colonna sonora (tra le più vendute di tutti i tempi!) del blockbuster Guardia del corpo, con Kevin Costner.

Noi l’abbiamo sentito bene il suo canto (di protesta, di mobilitazione). Ogni battuta nei balloon, una strofa di grande e melodica potenza.

Ci siamo messe a cantare con la Strömquist, la Khan, con tutte le donne presenti tra le pagine della graphic novel (e anche con quelle che non ci sono, ma che hanno comunque buon orecchio) e con le ragazze che insieme a noi, grazie a Fandango Libri (che ha portato in Italia questo lavoro giovanile ma assolutamente maturo della Strömquist), hanno preso parte al blogtour dedicato (Martina Marianella, FranzD, Emme Clara e Giusi Dell’Abadia, che ha organizzato insieme alla casa editrice l’iniziativa).

Tante tappe e account quanti le mitiche (per chiunque abbia vissuto negli anni Novanta!) Spice Girl, la band tutta al femminile che a suon di pop ha permesso a ragazzine e giovani donne di immaginare un mondo a colori girl power.

Ancora rivoluzionaria: Voltairine de Cleyre 💪🏻

Davvero tutte le (varie tipologie di) donne nella nuova graphic novel edita Fandango Editore: popstar dalla carriera distrutta (Britney Spears); madri qualunque; amiche che chiacchierano nei locali; ragazze alte; studentesse e ricercatrici con malsane fascinazioni per papy-professori; benefattrici entusiaste; fidanzati-dipendenti; materne ragazze di irriducibili Peter Pan; carrieriste; donne-oggetto di uomini famosi (Priscilla Presley, Lenchen, le muse di Picasso, Ronnie Spector, Nadežda Sergeevna Allilueva e persino Barbamamma!); antiche dee; grandi donne adombrate dai loro mariti e compagni (Jenny Marx, Mary Shelley, Mileva Marić, Lee Krasner, Yōko Ono). E donne ancora oggi rivoluzionarie.

Come la filosofa, atea, anarchica e femminista Voltairine (alter ego della Strömquist?).

Voltairine de Cleyre nacque in una famiglia di poveri immigrati francesi e fu battezzata così in onore del filosofo preferito di suo padre, Voltaire. La povertà della famiglia fece sì che Voltairine e le sue sorelle crebbero denutrite, e Voltairine stessa lottò con la cattiva salute per tutta la vita. Il padre fece un disperato tentativo di permettere alla figlia la scalata sociale mandandola a studiare in un convento cattolico. Il periodo al convento scatenò un fervente ateismo nella piccola Voltairine. […] Tentò di fuggire, ma dopo qualche miglio si rifugiò da alcuni amici di famiglia, che la rimandarono indietro. Voltairine fu presto coinvolta nel movimento anarco-sindacalista radicale dell’epoca. Organizzava riunioni, teneva discorsi e fondò la Radical Library, […] nata per dare accesso alla letteratura radicale ai lavoratori poveri. […] Voltairine si manteneva dando lezioni private di inglese a poveri lavoratori immigrati.

– breve biografia a strisce di Voltairine de Cleyre in I’m Every Woman

Pensatrice rivoltosa, perché manda a gambe per aria credenze “naturalizzate” dal lungo dominio laico e clericale (e maschile, ovviamente), Voltairine, esattamente come la Strömquist, parla alle donne (e agli uomini) con fare diretto e schietto.

Sono vicinissime anche nelle posizioni: estrema necessità di una reale parità (non vuoto «sinonimo di “lo stesso numero di uomini e di donne in ogni luogo di lavoro”»); dannosità universale del maschilismo; disincanto sull’amore romantico, sul matrimonio e sui figli (sicuri che siano necessari?). 

Nel 2018, Fandango Editore ha pubblicato un altro irriverente titolo a vignette della Strömquist, incentrato proprio sulla natura delle relazioni amorose: I sentimenti del principe Carlo

Ed è proprio sui rapporti sentimentali tra i due sessi, storturati da regole sbilanciate e aspettative gravose, che si focalizza questo nostro approfondimento.

E se dopo questo approfondimento vorrete leggere di più sul lavoro della Strömquist, recuperate le altre tappe del blog tour: Giusi offre una panoramica sulla graphic novel; Martina ha parlato di gender identity; FranzD della naturalizzazione dei comportamenti; Emme Clara di arte e femminismo.

Ma perché abbiamo (l’autrice e noi) scelto proprio Voltairine? Non è la prima femminista della storia né la più nota. Ma a centosette anni dalla morte resta una donna dalle idee estremamente progressiste

Più vicina alla lontana intellettuale inglese Mary Wollstonecraft (1759-1797), madre della famosa Mary Shelley, che a molte delle sue contemporanee, Voltairine non si accontentava della possibilità di voto «senza una visione femminista volta a modificare la società».

La sua grandiosità come femminista si basa sulla determinazione di mettere a nudo e di voler combattere il condizionamento della sessualità femminile e la dipendenza psico-emotiva delle donne che quasi sempre (ancora oggi, purtroppo) si riverberano nei rapporti pseudoromantici e all’interno della struttura famigliare classica.

Questo non vuol dire che manifesti contro l’amore (e lo stesso vale per la Strömquist): è l’oppressione istituzionalizzata da un tempo troppo lungo ad essere il suo bersaglio primario.

Il matrimonio è un codice di obblighi (non solo, ma soprattutto per le donne) intollerabile per Voltairine. In Those Who Marry Do Ill del 1908, afferma senza peli sulla lingua:

Niente è più disgustosamente volgare per me del cosiddetto sacramento del matrimonio […].

Nei primi anni Duemila l’opera omnia di Voltairine sono state raccolte nel volume Exquisite Rebel: The Essays of Voltairine De Cleyre – Anarchist, Feminist, Genius. In lingua italiana i suoi illuminati scritti sono disponibili nelle raccolte Un’anarchica americana(Elèuthera, 2017) e Voltairine de Cleyre – Una poetessa ribelle(Stampa Alternativa, 2018).

Ma non è solo il legame sancito dalla Chiesa a fare di una donna sposata «una schiava in catene, che riceve il nome del padrone, il pane del padrone, gli ordini del padrone, e serve a soddisfare la passione del padrone»: così nel suo discorso Sex Slavery, forse il più radicale tra le sue esposizioni, in cui tra l’altro si scaglia contro quegli ideali di bellezza atti a modellare i corpi femminili secondo desideri ed esigenze di un sistema maschilista e (nascente) capitalista.

Moderne riviste femminili: conquista di libertà e mezzo di espressione per le donne o strumenti per l’assoggettamento di un’ampia fascia di lettrici agli attuali (in fondo non così diversi dal passato) stereotipi culturali?

Come? Credete che le cose non vadano più in questo modo? Se è vero che «una rondine non fa primavera», per citare la stessa Voltairine, rispondiamo che una pubblicazione come I’m every woman, allora, oggi risulterebbe anacronistica. E invece, sfortunatamente, è ancora una lettura che punge nel vivo.

E in mezzo agli orrori attualissimi dei legami sentimentali, l’obbligo tacito (nonostante la condanna legale) alla compiacenza femminile. Tra il dovere di essere emotivamente e sessualmente accoglienti e la naturalezza del “doverne godere”, lo stupro all’interno delle coppie è una realtà attualissima e insieme un tabù sociale.

La Strömquist tocca il tema della violenza coniugale con la storia sulla moglie del Re del Rock: The art of leaving.

Ma torniamo a Voltairine: leggete perché una felice unione di lunga durata è altamente improbabile e come provare a preservare quanto più possibile l’armonia di coppia.

Supponiamo che si sposino, diciamo a vent’anni, o giù di lì, che ammettiamo sia il momento in cui l’appetito sessuale di solito è più intenso: la conseguenza è […] che i due sono troppo e troppo costantemente in contatto ed esauriscono rapidamente la gioia della presenza reciproca. Quindi iniziano le irritazioni. Le famigliarità della vita comune danno origine al dipresso. Quello che una volta era una gioia rara diventa routine e perde tutta la sua attrattiva. Molto spesso si trasforma in una tortura fisica per uno dei due (di solito la donna), mentre conserva ancora una forma di piacere per l’altro, poiché i corpi, come le anime, raramente, quasi mai, vanno di pari passo nello sviluppo. E questa mancanza di parallelismo è la più grande argomentazione contro il matrimonio. Non importa quanto possano adattarsi perfettamente tra loro due persone in un dato momento, non c’è garanzia che continueranno a esserlo.

Those Who Marry Do Ill

Voltairine ama più di un uomo, difende il desiderio (a patto sia coscienzioso) di avere figli come di non averne e il bisogno di esplorare liberamente la sessualità.

Avrebbe adorato leggere I’m every woman, almeno quanto noi.

Keep calm and stay away from romance ⛔️

Perché le donne aspirano all’amore, se non al matrimonio, mediamente più degli uomini? Potrebbe avere a che fare con quei ruoli di genere che sono considerati percorsi naturali di cui parla la saggia Voltairine in Sex Slavery.

Le bambine non devono comportarsi da maschiaccio, non devono andare a piedi nudi, non devono arrampicarsi sugli alberi, non devono imparare a nuotare, non devono fare nulla di ciò che desiderano fare che Madame Grundy ha definito “improprio”. I ragazzini sono derisi come effeminati, sciocche femminucce se vogliono fare del patchwork o giocare con una bambola. Quindi quando crescono, “Oh! Gli uomini non si preoccupano per la casa o i bambini come fanno le donne!”. E perché dovrebbe, quando lo sforzo deliberato della vostra vita è stato quello di soffocare in loro questa natura.

Nonostante le conquiste vere e presunte dai tempi di Voltairine, le principali differenze tra i due sessi restano il risultato di tradizioni insensate che le stesse istituzioni ancora perpetuano.

Attraverso le sue brevi storie a vignette, la Strömquist racconta, non senza ironia, alcuni tra i più malsani (ma comuni) comportamenti femminili: solo in apparenza frutto di personalissime e libere decisioni, in realtà frutto del condizionamento da parte della società.

Come Voltairine, all’autrice interessa raggiungere quante più persone possibile e lo fa scegliendo di portare ad esempio le vicende di nomi ben noti, icone culturali e grandi personaggi della storia. Per avvicinare i lettori, senza imperiosa formalità, a temi importantissimi e serissimi.

I’m a slave 4 U 💋

In Penso a Britney (p. 9), la storia sull’ex «star più famosa del mondo» che alle sue dichiarazioni di verginità faceva morire gli uomini «di arrappamento», ma a cui le insistenti attenzioni maschili facevano provare una «terribile, penetrante, profonda sensazione di solitudine», la Strömquist mostra il cambiamento di Britney dopo l’incontro con «il difficile» e «papà di due figli piccoli» Kevin Federline. Colpita da un uomo che la trova abbastanza interessante per un breve incontro fisico ma tecnicamente non disponibile, la Principessa del Pop inizia a seguire «uno schema comportamentale da ragazza psicotica e patetica»

Come accade a tante ragazze (e donne), è il giudizio di valore altrui a far Britney secondo Britney. Poco importa se lei è giovane e bella e popolare. Anzi. In quanto ragazza-personaggio, oggettificata dal sistema capitalistico e mediatico, la Strömquist ce la mostra“naturalmente” incline a considerare l’apprezzamento altrui conferma del suo essere speciale.

Così, quando un ragazzo mai visto prima non mostra di adorarla, la sua scarsa autostima la porta a desiderarlo a tutti i costi: per “amor proprio” e per il fascino del ragazzo impossibile da conquistare. Perché non sei donna, solo una femmina incompleta, finché non trovi un uomo che ti farà sentire (o credere) di essere unica per il solo fatto di essere la “prescelta”.

Dopo tre mesi di frequentazione, nel luglio del 2004 Britney e Kevin hanno annunciato il loro fidanzamento. Le nozze sono avvenute poco dopo, il 18 settembre. L’ex moglie di Kevin ha detto sulla relazione tra i due: «Non è stato solo come fare a pezzi un rapporto. È stato come fare a pezzi una famiglia».

Una brava compagna 👥

Un insospettabile senso di inferiorità può colpire anche ragazze con la testa ben piantata sulle spalle, disinteressate a «cose triviali come i trucchi e i vestiti», brave studentesse, dal buon carattere, idealiste e socialmente impegnate. 

In Ciao, io sono la ragazza di Stalin (p. 105), conosciamo Nadežda Sergeevna Allilueva “Nadja”, seconda e sfortunata moglie del dittatore sovietico.

Una volta sposati, Stalin tratta con volgarità e rudezza la giovane moglie. Si dice anche che la loro prima volta sia stata una vera e propria violenza. 

Stalin mandò Nadja al manicomio flirtando con una ballerina, fingendo una relazione con una parrucchieradel Cremlino e andando a letto con una studentessa che aveva scritto una tesi intitolata La competizione dei lavoratori nel socialismo. In realtà Stalin non era un infedele cronico, i suoi flirt erano soprattuttoun gioco di potere psicologico, qualcosa che rendeva Nadja folle di gelosia spingendola a pensaredi non valere niente. […] Un rapporto del tutto malato, visto che Nadja, in altre circostanze, avrebbe potuto vivere libera e selvaggia CIRCONDATA da uomini! Ma per via di un ruolo femminile obsoleto era totalmente concentrata sul suo progetto di vita, cioè fare il cane da guardia a un vecchietto totalitarista.

Ciao, io sono la ragazza di Stalin

Elvis and Me 🎸

L’amore romantico non crea principesse da “e vissero felici e contenti”. Ma creature impreparate nei confronti della vita stessa, che sopportano l’insopportabile in nome di quello che viene spacciato come il più alto tra i sentimenti. O che idealizzano la persona da loro scelta (tristemente citato è il motto “l’amore è cieco”, che sembra legittimare una visione fatalista dell’innamoramento). O che, se anche vedono i difetti dei loro uomini, queste neo laureate in Scienze Infermieristiche all’Università del Cuore cercano di salvarli a tutti i costi.

Allevate a bambolotti e attrezzatissime cucine di plastica, con donne del loro stesso nucleo famigliare che perpetuano (per quanto inconsapevolmente) riti sessisti ai loro danni, diventa “naturale” (per riprendere le ragioni di Voltairine) per le future donne preoccuparsi principalmente della famiglia e della casa, dell’esser belle e piacevoli per assicurarsi la simpatia di tutti e, soprattutto, un compagno per la vita.

Priscilla Ann Wagner, più nota come Priscilla Presley, conosce il suo futuro marito, il Re del Rock, a soli quattordici anni. È una ragazzina come tante altre del suo tempo, allevata secondo i valori di una società ancora palesemente maschilista (da lì a poco sarà messa però nuovamente in discussione dai movimenti delle attiviste della seconda ondata femminista).  

Impreparata al sesso e alla complessità dei rapporti interpersonali, la sua ammirazione di stampo infantile per un ragazzo tanto perfetto («il sex symbol mondiale per eccellenza», «il cantante più famoso del mondo») diventa “amore vero”.

Timorosa di perdere i favori di Elvis, Priscilla si lascia confezionare da lui.

Elvis decideva che acconciatura dovesse avere e come si dovesse truccare. E Priscilla poteva indossare solo vestiti di alcuni colori, sceltida lui. Elvis decise anche che Priscilla doveva frequentare una scuola cattolica femminile e che dovesse rimanere vergine.

The art of leaving

Priscilla era terrorizzata all’idea che Elvis la sostituisse!!! Girava per Graceland in preda al panico. […] Non c’era nessuno. Non poteva uscire. Elvis era sempre via.

The art of leaving

Dopo anni di maltrattamenti, il matrimonio. Unione, forse, nemmeno così desiderata da Elvis: diverse voci parlano di minacce del futuro suocero (l’appello al Mann Act, legge federale che proibisce “di portare un minore oltre i confini statali a scopo sessuale”) e coercizioni da parte del suo manager.

Priscilla ed Elvis, sposi di plastica: le due bambole fanno parte della The Elvis Presley Collection della Mattel, la casa produttrice della celebre Barbie

Priscilla rimase incinta quasi subito. Le venne il panico, perché era terrorizzata all’idea di ingrassare. Infatti Elvis diceva sempre: “Le donne prendono a pretesto la gravidanza per lasciarsi andare!”. Per questo motivo Priscilla decise di fare una dieta rigidissima durante la gravidanza. Mangiava solo una volta al giorno, oltre a qualche spuntino a base di mele e uova sode. Nel suo libro racconta fiera il risultato: “Durante tutta la gravidanza presi solo sei chili, non ho neppure dovuto comprare un vestito premaman!!!”.

The art of leaving
Le memorie di Priscilla sono state raccolte in Elvis and Me. Vero bestseller, è stato tradotto in Italia come Elvis e io e pubblicato nel 1987 da Sperling & Kupfer.

A differenza di Nadja, Priscilla riesce a uscire dalla «schiavitù del matrimonio» (ancora Voltairine in The Women Question) non con un colpo di pistola alla tempia ma con un atto realmente rivoluzionario: lasciare il marito. E l’unica pallottola che vide fu una spuntata.

Nell’iconico film Una pallottola spuntata(The Naked Gun: From the Files of Police Squad!) del 1988, l’ex signora Presley affianca il comico Leslie Nielsen

Vagine che parlano (e pensano pure!) 💄

Priscilla non è l’unica eroina rassicurantemente imperfetta di I’m every woman.

Anche Veronica “Ronnie” Bennett, la front del gruppo The Ronettes, è stata a lungo controllata da… «un maniaco del controllo»: il patologicamente geloso produttore, compositore e musicista Phil Spector. 

Uno dei sette «fidanzati più provocanti», medaglia d’argento nella dissacrante classifica delle relazioni e atteggiamenti più grottesche della storia secondo la Strömquist (I fidanzati più provocanti, p. 69): impedisce a Ronnie di uscire da sola; decide per lei il suo futuro lavorativo (la casalinga!); fa installare nella loro casa delle radio intercom per rimanere costantemente in contatto con lei; tappezza il proprio studio di foto della moglie (creepy!); arriva a rinchiuderla in un armadio; le sequestra tutte le scarpe (in modo da renderle impossibile uscire di casa senza permesso); le fa costruire una bara d’oro con coperchio in vetro, minacciandola di metterla lì dopo il suo assassinio.

Uomini che amano troppo o per nulla? 

Fin troppo spesso il desiderio di possesso è mascherato da gelosia, una delle massime espressioni dell’amore romantico: la glassa sul boccone amaro che ci costringono tutt’oggi a ingoiare in una società che ci vuole fidanzate, mogli e madri (di qualcuno, basta ci comportiamo “secondo natura”).

La verità è che riusciamo a stare bene anche da sole. Nonostante, anzi, soprattutto se si parla d’amore.

Come Lee Krasner, grande dell’espressionismo astratto, artista «estremamente autocritica e molto ambiziosa: faceva, disfaceva e rifaceva, spesso rovinando i quadri fatti», nota tristemente più per aver sposato Pollock che per il proprio talento (La moglie di Jackson Pollock, p. 91).

Religiosa ma già da adolescente critica verso quella che percepisce come la misoginia nell’ebraismo ortodosso, trascorre una vita priva degli eccessi di quella del marito. 

Sconosciuta ai più, ormai anziana dice di sé:

Ero una donna, ebrea, vedova, una pittrice maledettamente brava, se non vi dispiace, e un po’ troppo indipendente.

Beh, Lee, a noi piaci proprio. E inutile dire che non sente il bisogno di trovarsi un nuovo marito quando il precedente muore (in un incidente stradale causato dal suo stato di ebbrezza, con l’amante sul sedile del passeggero).

E impossibile non citare la più famosa Yōko Ono, «l’artista avanguardista più fica, intelligente e innovativa» (Oh Yoko, p. 128), una donna che, a causa della dipendenza del marito nei suoi confronti, si è guadagnata l’odio del mondo intero, diventata bersaglio di una «campagna […] razzista e sessista senza eguali» che la dipingeva come la «strega asiatica» sfascia-Beatles.

Tragicomico visto che Yōko non incoraggia la dipendenza di John Lennon e, più tardi, una volta lasciatolo da solo, viene quasi accusata di non prendersi cura di lui.

È la relazione dipendente permanente che, affermo, a esser dannosa per la crescita del carattere individuale e alla quale sono inequivocabilmente contraria.

– Voltairine de Cleyre, Those Who Marry Do Ill

Yōko è una vera donna, non una femmina. Come Voltairine. Ama se stessa, oltre l’uomo che ha scelto per compagno. Ama cosa le piace fare. Il diritto femminile all’indipendenza. La parità tra i sessi. Yōko non è una femmina, ma una grande femminista. Allontanando e allontanandosi dal marito quando sente venir meno la propria personalità, si ribella alle stantie logiche matrimoniali. Nonostante la generale disapprovazione per un gesto allora, e forse ancora, considerato radicale. Yōko ha scelto di non rinunciare alla propria identità, nemmeno per amore. In questo senso, un fortissimo esempio da seguire. Una donna che Voltairine avrebbe considerato uno spirito affine.

Ed è infatti con lei che la Strömquist chiude la graphic novel, e noi il nostro focus.

Ecco, secondo noi, quali le vere favole della buonanotte per bambinI ribellI (maschi e femmine, perché altrimenti nulla potrà mai cambiare!), dove la migliore conclusione possibile non consiste nell’essere i più belli e buoni e bravi e amati, magari con un anello al dito e un regno come corredo nuziale.

La saggezza dell’appena scomparsa Toni Morrison, Nobel della letteratura.

– Ornella 🐱

Titolo: I’m every woman

Autore: Liv Strömquist

Casa editrice: Fandango Libri (collana Documenti)

Traduzione: Samanta K. Milton Knowles

Pagine: 141

Anno (Italia): 2019

ISBN: 9788860446183

Prezzo: 19,00 €

Ebook: //

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