Ai 19 giugno [papa Borgia] raccolse un concistoro. […] «Se avessi ben sette papati» diss’egli, «tutti gli darei per la vita del figlio mio!»
– Ferdinand Gregorovius, Storia della citta di Roma nel Medio Evo
È il misterioso assassinio di Juan (o, italianizzato, Giovanni) Borgia, duca di Gandia, il primo dei casi della serie #MARTEDÌCLASSICI di ottobre e novembre a tema true crime: storie di omicidi e serial killer che hanno ispirato le penne di celebri storici del passato e grandi nomi della letteratura moderna…

Sulla morte del giovane duca, delitto irrisolto di oltre cinquecento anni, hanno scritto in molti: tra i nomi più famosi, Alexandre Dumas padre; Ferdinand Gregorovius; Baron Corvo; Ludwig von Pastor; Gustavo Sacerdote; Maria Bellonci; Antonio Spinosa; Ivan Cloulas; Roberto Gervaso.
Juan è il figlio preferito dell’uomo più potente d’Occidente: padre di prìncipi e re, rettore del mondo, vicario di Cristo in terra: Rodrigo Borgia, che una volta papa ha preso il nome Alessandro VI.
Ma al sommo di tutte le trame di Alessandro VI era Juan il bello, Juan l’amato, Juan il cuore stesso del padre.
– Maria Bellonci, Lucrezia Borgia

Juan non è però altrettanto amato dai suoi coevi: tracotante, attaccabrighe, avido, viziato e imbelle, le sue sole conquiste sono in campo sentimentale («attirava tutti gli sguardi per la sua bellezza»: così Dumas padre) e quelle procurate dall’amore paterno in forma di titoli e doni preziosi.
Una sera calda di giugno, come sempre a Roma. È il lontano 1497. Juan e il fratello Cesare sono invitati a cena in una delle vigne della madre Vannozza Cattanei, sull’Esquilino, non lontano da San Pietro in Vincoli, insieme ad altri parenti e vicini di famiglia.

È un’occasione speciale: l’Italia ha scampato da poco un’invasione straniera, Juan ha ottenuto nuovi onori dal padre e un po’ di gloria spetta anche a Cesare (cardinale controvoglia), che andrà a Napoli con il fratello e lì incoronerà il nuovo re (a cui, però, un giorno, il papa spera di far succedere proprio Juan).
Il convivio si svolge sotto un bel pergolato, ravvivato dalle torce vivaci quanto le chiacchiere dei commensali e sotto i sorrisi delle stelle luminose che fanno risplendere vasellame, monili e pomelli d’armi; qui l’aria circola assai meglio rispetto alle sale anguste dei palazzi non ancòra rinascimentali, in una capitale ancòra piuttosto fatiscente.
Vannozza, ancora molto bella, superbamente adorna e carica di gioielli, presiede con allegria la festa notturna.
– Ivan Cloulas, I Borgia
Gli animi sembrano briosi nonostante le preferenze del papa riguardo i figli e l’apparizione fugace di un uomo mascherato e «capuzato negro» [Gregorovius, Storia di Roma nel Medio Evo] accanto al duca di Gandia, che nessuno conosce ma che mostra nei suoi confronti «d’avere grande dimestichezza» [Gervaso]. L’uomo, forse un ruffiano, gli sussurra all’orecchio «storie amorose, segrete come tutte le imprese passionali di un gentiluomo» [Bellonci].

È già molto tardi quando i due fratelli e un loro cugino lasciano la festa, il vecchio giorno è sul letto di morte.
Alle undici, il duca di Gandia si congedò da sua madre. Cesare fece altrettanto perché doveva – disse – passare quella sera stessa al Vaticano per congedarsi dal papa, dato che l’indomani sarebbe partito all’alba.
–Alexandre Dumas, I Borgia
In groppa ai muli, con una minuscola scorta, percorrono le vie pericolose e buie. Ritrovano l’uomo mascherato, che sale in sella con Juan, e vicino alla Cancelleria (sull’attuale via dei Banchi Vecchi, nel rione Ponte) il figlio preferito del papa annuncia che se ne andrà da solo per affari non meglio specificati ignorando i consigli degli altri e prendendo con sé solo uno scudiero.
L’eco della spavalda risata del giovane duca fu l’ultima cosa che parenti e familiari intesero di lui vivo.
– Maria Bellonci, Lucrezia Borgia
Juan torna indietro sino a piazza Giudea, zona quartiere ebraico (il ghetto, come racconta Baron Corvo, non esiste ancòra). Ordina al palafreniere di attenderlo là, ma se non lo vedrà tornare entro un’ora, gli dice, che torni pure al Vaticano, «dove al duca era stato apprestato l’appartamento» [Sacerdote]; altri autori differiscono per un piccolo particolare: prima di quell’ordine, Juan chiede allo staffiere di andare a «palazzo a prendere alcune armi» [sempre Sacertode].
Ma il duca non farà più ritorno a casa.

L’indomani, la mattina del 15 giugno, tutti pensano che sia ancòra tra le braccia di una bella donna o nascosto da qualche parte, in attesa dell’occasione buona per tornare a casa, senza dar scandalo. Ma col passare del tempo l’inquietudine prende il posto della leggerezza. Tanto più che viene trovato il servo di Juan, ferito mortalmente, proprio nella piazza in cui avrebbero dovuto incontrarsi: l’uomo non può a dire nulla sul conto del suo padrone. Presto ricompare anche la cavalcatura di Juan, con le staffe sfalsate: «segni d’una violenta colluttazione» che dissipano «ogni ulteriore dubbio sulla sorte del duca». [Gervaso]
Il rumore di questa scomparsa misteriosa si diffonde sùbito nella città. […] Le truppe spagnole corrono nelle vie, con la spada sguainata. Gli Orsini e i Colonna prendono le armi.
– Ivan Cloulas, I Borgia
Le diverse penne differiscono nei dettagli di queste ore cruciali (e di quelle seguenti), ma tutte documentano bene la loro drammaticità.
Dapprima Alessandro [VI] cercò di illudersi […]. Ma […] assalito dai più tristi presentimenti e da quella tragica voce del popolo che urla le grandi sciagure, si abbandonò a un dolore immenso riuscendo soltanto, in mezzo ai suoi sospiri e ai suoi singhiozzi, a dire queste parole mille volte ripetute: «Cercatelo, cercatelo, che si sappia almeno come lo sventurato è morto».
– Alexandre Dumas, I Borgia
In una lettera del 16 giugno, come riportato da Gregorovius, il vicecancelliere Ascanio Sforza scrive che sulla sorte del duca non si hanno indizi certi: la sua mula è stata trovata vicino l’abitazione del Schiaffinati, cardinale di Parma, in via Tor di Nona; inoltre c’è un barcaiolo che afferma che «l’altra nocte circa le 4 hore» ha visto gettare un corpo nel Tevere da alcuni uomini armati in un punto propinquo a Santa Maria del Popolo, dove poi verrà recuperato il duca.

Il testimone oculare è uno dei molti stranieri del porto antistante alla chiesa di San Girolamo dei Croati, uno scalo molto rudimentale dove vengono scaricati carbone, vino e legname: il suo nome è Giorgio, uno slavo che forse (come tanti altri) ha lasciato la Schiavonia dopo l’invasione turca, e da tempo si guadagna da vivere come carbonaio.
«Vidi», rispose, «sulla una di notte, due uomini uscire dal vicolo che sta a sinistra dell’ospedale degli Schiavoni, e scendere al Tevere presso alla fontana, donde si gettano in fiume le spazzature: guardarono tutt’attorno, poi ritornarono per la stessa via. Di lì a poco, altri due capitarono; fecero come i primi e diedero un segno. Allora venne un uomo sopra un cavallo bianco, tenendo dietro a sé un cadavere, di cui la testa e le braccia penzolavano da una parte, le gambe dall’altra: mosse al fiume, nel luogo che ho detto, ed i suoi compagni, preso il cadavere, lo scagliarono con quanta forza avevano, nell’acqua. Quegli a cavallo domandò: Lo avete buttato bene in mezzo? Signor sì!, risposero gli altri; ed avendo il primo guardato lungo la china del fiume, e visto sormontare il mantello del morto, gettarono sassi per farlo calare a fondo».
– Giorgio Schiavone sulla vicenda
Quando gli è chiesto perché non fosse andato a riferire immediatamente al governatore, Giorgio si meraviglia sinceramente.
«In vita mia posso dire di aver visto alla notte gettare più di cento cadaveri in quel luogo del fiume, senza che mai alcuno se ne togliesse briga.»
– Ferdinand Gregorovius, Storia di Roma nel Medio Evo
Allora si occupano «più di cento pescatori per il Tevere in cerca del figliuolo del papa» [Gregorovius], con le reti o a nuoto, allettati dai ducati promessi a chi troverà il corpo.

Più tardi il cadavere fu ritrovato nel Tevere, completamente vestito degli abiti sontuosi […], il pugnale nel fodero, la borsa intatta e ornata di gioielli di grande valore. Undici ferite – alcuni dicono quattordici – di cui una enorme alla gola, erano state la causa della morte. […] Questo è tutto quanto si sa dell’assassinio del duca di Gandia.
– Baron Corvo, Cronache di casa Borgia
Gli altri autori riportano, più veritieramente, nove ferite (al torso e una su una coscia, oltre allo squarcio sulla gola) e ulteriori dettagli (guanti e speroni ancora indossati, le mani legate): informazioni prese dalle relazioni dei coevi, che non sprecano tempo per scrivere delle ultime notizie da Roma. Se c’è un valore indiziario nel numero delle ferite (si potrebbe attribuirle all’opera di quattro uomini che gli si scagliano contro tutti insieme? O hanno un significato rituale, nove come i cieli e i cerchi infernali di Dante?) noi non lo sappiamo.
Ciò che è certo è che il padre di Juan, poco santo e molto genitore, è distrutto dalla sofferenza. Si chiude nelle sue stanze, sordo alle preghiere dei prelati e degli amici, rifiuta di mangiare e bere.
Egli amava quel figlio più di tutto al mondo.
– Gustavo Sacerdote, Cesare Borgia: la sua vita, la sua famiglia, i suoi tempi
Appena più che ventenne, Juan si è lasciato dietro tante lacrime. Di dolore, sì, ma soprattutto di gioia. Perché i suoi nemici sono più numerosi degli amici.
Ma perché Juan è morto e chi l’ha ucciso?
Mille e mille voci correvano per Roma. Il governatore ed il bargello fecero frugare tutti gli angoli della città e tutte le case dove il morto era stato solito di bazzicare. Si interrogarono i famigli e si sottoposero alla tortura; si offese la dignità di persone ragguardevoli […].
– Ferdinand Gregorovius, Storia di Roma nel Medio Evo
Queste stesse domande se le pone tutto il mondo cattolico e da sùbito vengono condotte delle indagini. Ecco una lista dei possibili sospettati con un volto e un nome:
1) ASCANIO MARIA SFORZA VISCONTI, il vicecancelliere: nonostante i lunghi, buoni rapporti con Rodrigo Borgia (è lui che, parecchi anni prima, lo fa ben accogliere dagli altri cardinali; di contro, Ascanio gli fornisce diversi voti per arrivare al soglio pontificio), negli ultimi tempi le cose tra il vicecancelliere e la famiglia italo-spagnola non vanno così bene; dopo l’elezione, Alessandro VI cerca di tagliarlo via dai giochi di potere e la pericolosa calata dei francesi in Italia viene sostenuta dagli Sforza per contrastare gli Aragona del Regno di Napoli (anche se dopo, per convenienza, cambiano idea). Come se non bastasse, i Borgia vogliono sciogliere il legame matrimoniale di un suo cugino (Giovanni) con Lucrezia, figlia adorata del papa: si tratta di un’unione voluta proprio da Ascanio ed è un segno della rottura dell’alleanza tra le due famiglie. Ma non è finita qui, Juan ha fatto pure uno sgarbo personale ad Ascanio.
In una relazione della morte del duca di Gandia, figlio di Alessandro VI, leggiamo che il duca stesso nell’aprile del 1497 «piglioe de nocte, manibus propriis, alcuni staffieri de Sforcino [l’arcivescovo Gio. Maria Sforza] et condusseli in presone [come rei di aver ferito a morte, per ordine dello Sforza stesso, un signore spanuolo] et il zorno sequente circa le XX fuoreno impiccati a li merli de Torre de Nona senza alcuno respecto, ancora che Ascanio [Sforza] per mezzo de l’oratore ducale facesse ogni prova presso N. S. per Iiberarli et camparli».
– Alberto Cametti in Archivio della Società romana di storia patria n. 39
Infine, il corpo di Juan viene ritrovato all’altezza di uno dei giardini del vicecancelliere.

2) GIOVANNI SFORZA, marito scomodo di Lucrezia: considerato da tutti uomo di poco carattere, è fuggito da Roma pochi mesi prima e già iniziano a diffondersi voci di intenti omicidi nei suoi confronti e incesti in Vaticano. Dopo le ultime finzioni di benevolenza, proprio pochi giorni prima del ritrovamento del corpo di Juan, il papa gli manda un messo per chiedergli il divorzio da Lucrezia, adducendo l’impotenza come causa.

3) ANTONIO MARIA PICO DELLA MIRANDOLA, signore di Concordia: è il padre di una fanciulla (fidanzata) che, si dice, interessi molto Juan, e abita nella zona in cui è stato gettato il cadavere. Viene perquisita anche la sua casa, ma non si trova nulla.
23 giugno. Notizie da Roma circa l’arresto del conte Anton Maria Pico della Mirandola, incolpato dell’uccisione […] insieme col cardinale Ascanio Sforza.
– Ludovico Antonio Muratori, Rerum Italicarum scriptores
4) IL PROMESSO DELLA FIGLIA DI MIRANDOLA, su cui si pronuncia la Bellonci: «L’individuo mascherato che aveva trascinato il duca nell’agguato mortale sarebbe stato, si dice[…], quel Jaches familiare di casa Sforza che non aveva voluto sposare la ragazza […]».
5) GLI ORSINI, una delle famiglie baronali più antiche e potenti di Roma.
Il papa ha formulato il progetto di dare al duca di Gandia un principato formato a spese degli Orsini.
– Ivan Cloulas, I Borgia
Progetto sostenuto anche da Ascanio, che non vuole favorire gli Orsini, vassalli ben sistemati nel Regno di Napoli (regno opposto a Milano). Un anno prima del delitto, il papa dichiara ribelle il capofamiglia e lo scomunica: alla fine Gentile Virginio viene incarcerato e muore presto. Qualche mese dopo Juan è incaricato di guidare la campagna contro questi baroni: si combatte fino al 1497 ma a parte qualche vittoria, Bracciano, che è cuore dei possedimenti Orsini nel centro Italia, resiste. Alla fine i Borgia non riescono a sottometterli e Juan viene umiliato.
5) ORSINO ORSINI MIGLIORATI, il marito dell’amante del papa, Giulia Farnese detta la Bella: non solo è un Orsini, ma da anni è un marito-coperchio per la relazione della moglie con Alessandro VI, di ben oltre quarant’anni più vecchio di lei; relazione a cui non si oppone nemmeno la madre di Orsino (Adriana, una parente del papa), che anzi la favorisce come atto di fedeltà alla famiglia o per i benefici che ne derivano. O forse per entrambe le ragioni.

6) GUIDOBALDO DA MONTEFELTRO, duca di Urbino: comandante insieme a Juan durante la guerra contro gli Orsini. Nonostante si sia beccato un’archibugiata, appena è guarito torna all’attacco (a differenza di Juan, che abbandona il campo di battaglia dopo una lieve ferita) ma all’inizio del 1497 viene catturato da un cavaliere degli Orsini e fatto prigioniero. Resta rinchiuso sino alla fine di aprile e liberato in cambio di un riscatto costosissimo: del tutto abbandonato nelle mani nemiche dai Borgia, molti sospettano una sua vendetta.

7) GONZALO FERNÁNDEZ DE CÓRDOBA, generale spagnolo mandato dai Re Cattolici per cacciare gli invasori francesi dal suolo italiano: il papa lo affianca al figlio, ma è il Gran Capitán con le sue truppe a far capitolare la fortezza di Ostia in pochissimo tempo. Nonostante ciò, non è lui ad occupare un posto di rilievo nella parata trionfante (che spetta invece a Juan) e nella festività successiva il generale si ribella: non si farà di nuovo adombrare dal duca di Gandia e il papa deve blandirlo per convincerlo a non dar scandalo. Ma, nonostante gli offra poi l’ambita rosa d’oro, Alessandro VI si lamenta: critica i sovrani di Spagna e Córdoba ribatte seccamente che il pontefice dovrebbe abbandonare i vizi e comportarsi come ci si aspetta dal vicario di Dio.
8) GOFFREDO BORGIA, il minore dei figli del papa: sposato alla procace Sancia d’Aragona, che gli è infedele… con altri Borgia. Tutte le bocche ne parlano e tutte le penne lo scrivono: c’è una tresca fra cognati. E, agli occhi del padre, non c’è confronto con Juan.

9) CESARE BORGIA, il fratello maggiore di Juan, sulla carta tra i sospettati più plausibili: insoddisfatto della propria condizione di cardinale, sogna una vita secolare, fatta di conquiste più che di preghiere. Diversamente dal fratello, molto distante da lui caratterialmente, è pieno di doni di natura… ma è su Juan che il padre conta per continuare la dinastia e non fa certo mistero di quella preferenza. Se Juan morisse, però, le cose potrebbero cambiare (e così sarà, infatti).

Non si sentiva a proprio agio nelle vesti cardinalizie. La porpora gli era estranea, e cercava perciò di mostrarsi agli occhi del padre sempre più forte e sicuro di sé. Ma Juan, quel maledetto Juanito, era sempre tra loro. La gloria del fratello, che egli considerava un inetto, lo ossessionava.
– Antonio Spinosa, La saga dei Borgia
In più si dice anche che i fratelli si contengano le attenzioni della loro cognata Sancia (e, i più maligni, sussurrano anche quelle di Lucrezia, la loro sorella). Come scrive Gregorovius,
repugna di aggiustar fede alla credenza (eppur si sparse in quella corrottissima età) che Lucrezie fosse stata oggetto di reo amore e di gelosia dei due fratelli, […] il giudizio della storia trova invece buon fondamento di credere che […] fosse [Juan] ragione di intollerabile gelosia e di impedimento alle mire ambiziose di Cesare.
Dopo giorni strazianti, il 19 giugno il papa si mostra di nuovo a cardinali e ambasciatori. Dichiara che non sa chi gli abbia ucciso l’amato figlio (per cui rinuncerebbe a sette papati, pur di riaverlo) ma scagiona i sospettati. Le indagini si interrompono rapidamente, troppo: «già dal 5 luglio, e cioè appena venti giorni dopo il delitto» [Bellonci]. In molti, dai contemporanei ai nostri autori, si chiedono il perché e per i più la risposta è troppo spaventosa e non può essere pronunciata (o cercata fino in fondo): meglio tacere e andare avanti.
Si delineava per i più una certezza e con essa un nome: Cesare Borgia. […] Se Cesare era amatissimo e stimatissimo, […] fra lui e i suoi desideri c’era l’ostacolo di quel fratello, che non solo gli avrebbe impedito ogni conquista, ma avrebbe guastato anche per sé tutte le occasioni, sciupate possibilità, rovinati piani con la fatale inettitudine. Mostruosa, ma una logica ci sarebbe nella risoluzione di Cesare di toglier via il fratello dal suo cammino. Il problema è se lo tolse o no.
– Maria Bellonci, Lucrezia Borgia
Da appassionate borgiane, ce lo chiediamo anche noi. Certo potrebbe essere un indizio valido, ma c’è da tenere in conto anche la natura di Rodrigo Borgia: un uomo estremamente passionale, incline a eccessi sentimentali, che si infervora facilmente (quando di mezzo ci sono i suoi affetti) e altrettanto rapidamente sembra voltare pagina. Un atteggiamento che lo ha da sempre accompagnato, attraverso lutti e delusioni. Così non solo ordina di terminare le indagini, ma anche i suoi propositi di riformare la Chiesa e frenare il nepotismo durano ben poco.

A lungo, comunque, la tesi più comune è che sia stato proprio Cesare, compresi «i migliori storici e statisti d’Italia» [Gregorovius].
Dal momento che Alessandro VI, consumato quel misfatto, se ne accollo i motivi e le conseguenze, e perdonò all’assassino, divenne complice morale del fatto e cadde egli stesso sotto il dominio del suo spaventevole figlio. Da quel momento ogni azione di lui fu in servizio della infernale ambizione di quest’ultimo.
– Ferdinand Gregorovius, Lucrezia Borgia : secondo documenti e carteggi del tempo
Ufficialmente, è Cesare l’ultima persone, oltre al suo piccolo seguito, ad aver visto il duca di Gandia vivo. Quando Juan saluta la madre, lo stesso Cesare decide di andare via. I due vanno insieme verso il Vaticano, prima del cambiamento di piani di Juan.
Il pretesto [di Cesare, di andare a parlare col padre] era più che plausibile in quanto il papa vegliava ogni notte fino alle due o alle tre del mattino.
–Alexandre Dumas, I Borgia
Ammesso sia stato lui, Cesare mantiene le vesti cardinalizie per oltre un anno. Dopo di che prende a tutti gli effetti il ruolo del defunto. Ma, nonostante non sia più un uomo di Chiesa, per diverso tempo continuerà a firmarsi con la sua vecchia carica cardinalizia: forse, nonostante la liberazione a lungo desiderata, è all’inizio insicuro circa la sua nuova posizione, come se non creda possibile l’averla raggiunta?
«De novo ho inteso come della morte del duca di Gandia fu causa il cardinale suo fratello». Dispaccio del Pigna ad Ercole [d’Este]. Venezia, 22 febbraio 1498.
– Ferdinand Gregorovius, Lucrezia Borgia : secondo documenti e carteggi del tempo
L’oratore ferrarese Alberto della Pigna, qualche anno dopo (quando ormai il papa è morto e la stella di Cesare non è più brillante), scrive che la vedova di Juan ha fatto arrestare il cognato sapendolo colpevole, ma i documenti dimostrano i buoni rapporti (anche solo di facciata?) tra i due. Inoltre Ferrara, dopo la scomparsa di Alessandro VI, non si dimostra più amica di Cesare.
Altro possibile indizio per valutare il coinvolgimento di Cesare: nel 1501, quando un anonimo (presumibilmente un avversario) scrive una lettera che ne elenca gli omicidi, non viene fatto il nome del fratello.

In ogni caso, due i possibili moventi di questo delitto: una vendetta personale contro il duca di Gandia o una ritorsione verso il pontefice, che così tanto ama il figlio. Non si tratta nemmeno di un ladrocinio, degenerato o con vittima contemplata: niente è stato portato via al duca. E chi l’ha ucciso non si è premurato affinché sembrasse un omicidio a scopo di rapina. Semmai i colpevoli vogliono far scomparire il corpo, facendolo affondare nel Tevere.
Qualche breve parola sugli altri possibili assassini, o mandanti.
- Ascanio Sforza è un animale politico, ma non un temerario (per paura di ritorsioni lascia anche Roma) e, soprattutto, è conscio del pericolo che potrebbe rappresentare un Cesare Borgia senza porpora (facile sospettare che presto l’abbandonerà). In base a questi indizi, lo scagioniamo;
- Giovanni Sforza è da noi scagionato sulla base di due fattori: tempistiche troppo brevi (anche se ha sentore di ciò che accadrà, riceve troppo a stretto giro la visita del messo del papa) e codardia;
- Padre e promesso della donna misteriosa: impossibile giudicare dalle poche informazioni a riguardo: ma la loro mancanza, forse, indica che non c’è così tanta carne sul fuoco.
- Gli Orsini, con Cesare, sono più sospetti. Al di là di quanto detto, se si immagina che Juan sia stato ucciso nelle immediate vicinanze di dove è ripescato, bisogna sottolineare che quella è la loro zona d’influenza in città.
Ora, può darsi che nel racconto del barcaiuolo [Giorgio] non ogni particolare sia esatto, essendo impossibile che il cadavere da San Gerolamo degli Schiavoni abbia rimontato il fiume fino all’altezza di Santa Maria del Popolo [dove è stato ritrovato il cadavere].
– Gustavo Sacerdote, Cesare Borgia: la sua vita, la sua famiglia, i suoi tempi
- In teoria un buon sospettato è anche Goffredo Borgia: figlio poco considerato rispetto agli altri due e, soprattutto, almeno secondo l’idea comune, cornuto a causa del fratello. Più grande, si rivelerà turbolento, ma la morte di Juan, al di là di un’eventuale vendetta per onore, non porta grandi sconvolgimenti nella sua vita. Goffredo viene allontanato con la moglie in agosto dal papa, con l’ordine di occuparsi definitivamente del loro principato al Sud: il ritiro però non è realmente definitivo e probabilmente non è dovuto alla colpevolezza di Goffredo quanto ai tipici slanci sinceri, per quanto brevi, del padre.
Ma, allora, chi è il colpevole?

Purtroppo non abbiamo la testimonianza di uno degli spettatori più affidabili del tempo, Johannes Burckardt, rigoroso (del resto è un tedesco…) protonotario pontificio e maestro di cerimonie noto per le annotazioni sul suo diario, il Liber notarum: alla carta non affida solamente le descrizioni della sua attività “lavorativa”, ma appunta anche gli avvenimenti contemporanei senza scadere nel pettegolezzo o nel sentimentalismo. C’è un buco nelle sue continue annotazioni (interrotte solo una volta, a causa di un viaggio): dal 14 giugno al 7 agosto, periodo di fuoco a Roma.
Una casualità? Probabilmente no e del resto Burckardt è un uomo che non omette nulla di notevole nel diario, tanto che scriverà anche del famigerato ballo delle castagne (una festa in Vaticano in compagnie di cortigiane, forse degenerata in altro). Ma «ogni discorso e giudizio in questa materia è difficile e pericoloso» [Ludwig von Pastor, Storia dei papi].
È innegabile la premeditazione dell’omicidio: quasi certamente il colpevole sa come il duca si muoverà; il palafreniere viene fatto fuori (perché ha ostacolato l’azione? O poteva rivelare indizi utili per le indagini? O, ancòra, l’hanno colpito in modo da far prendere il suo posto a uno degli assassini, tenendo un’imboscata a Juan?); si vuole occultare il cadavere (che, secondo il cronista fiorentino del tempo, ha anche una pietra appesa al collo, per farlo affondare).
A distanza di secoli, sembra impossibile stabile con certezza l’identità del colpevole. Un mistero destinato (probabilmente, a meno che in futuro non vengano trovate delle prove schiaccianti) a restare tale ma che, forse, aumenta il fascino oscuro dei membri di questa sfortunata famiglia e dei tempi incerti in cui vissero.
– Ornella 🐱